sabato 24 dicembre 2011

TRE MOTIVI PER FARSI UN AUGURIO DIVERSO DAL SOLITO


Questa settimana è emotivamente sempre uguale. Tra Natale e Capodanno ci si ciba di marketing della bontà. Luci e regali, funzioni religiose e sospironi, emozioni obbligatorie e tradizioni preconfezionate: a me sembra una sintesi perfetta di come non essere e di come non stare, se si tiene a se stessi.
E’ una settimana-evidenziatore che porta a galla anzi il nostro malessere e le nostre abitudini più inutili. I motivi sono almeno tre.

Il primo è ben sintetizzato da un gioco di parole. Perdono un’occasione coloro i quali non usano il perdono per dono. Tutti presi dall’ansia da regalo, infatti, consideriamo l’offerta materiale come un ticket convenzionale per arrivare al cuore di ci interessa o per assolvere alla funzione sociale del Natale, cioè il riconoscimento di un nucleo di affetti attorno ad alcuni simboli certificati dalla storia e dalla moda. Eppure ci dimentichiamo di fare un regalo alla persona che per ciascuno di noi è più importante: noi stessi. Il più grande regalo che possiamo farci è perdonarci, cioè eliminare i maledetti sensi di colpa che ci legano come cotechini impedendoci di vivere nel presente con consapevolezza. Possiamo scrivere su un foglio di carta tutto ciò per cui ci sentiamo in colpa o le ragioni per le quali abbiamo l’impressione di non meritare la vita che vorremmo. Poi impacchettiamo questo foglio come se fosse un dono e al momento giusto apriamo il pacchetto, rileggiamo ciò che abbiamo scritto e facciamone mille pezzettini o bruciamo tutto liberandocene.

Il secondo motivo è il terribile incrocio tra passato e futuro che questi giorni ben rappresentano. A fine anno sembra impossibile non redigere bilanci, stilare buoni propositi, immaginare scenari. Nostalgia e ansia dominano per qualche minuto o per molte ore il passaggio da un anno all’altro. La questione però è che tutto questo non è più, o non è ancora. Il passato è già passato e il futuro non c’è, in questo momento.  L’unica soluzione è stare qui, adesso, accogliendo le passeggere tristezze e il senso di vuoto e lasciando che la nostra attenzione noti che c’è anche altro.L’unico istante in cui puoi fare qualcosa è quello stesso istante in cui non fai nulla perché sei tutto preso a guardare indietro o a strizzare gli occhi per provare a scorgere contorni indefiniti davanti a te. E mentre lo fai, perdi quell’attimo magico che è il presente. Viceversa, torna al presente con consapevolezza - anche semplicemente respirando e osservando senza suggestioni i piatti, le luci, i colori di queste giornate di festa, che possono stupirti per come sono, invece di spaventarti per come non sono più o ancora - e disinnescherai i ritornelli mentali.

Terzo motivo: l’idea che tutti in questi giorni siano felici e beati è una menzogna sociale e crea un’aspettativa talmente elevata, nella vita dei singoli, che molti si troveranno a combattere con la tristezza solamente perché si confrontano con l’aspirazione di vivere un “Natale perfetto”, da cartolina. Siamo riusciti a creare un mostro: esiste un Natale idilliaco nelle nostre teste, che raramente si declina identico nella vita reale di ciascuno di noi, eppure è in grado di infilare fantasmi e confronti in mezzo ai nostri pensieri, guastandoci l’umore. Quello è più ricco, quello è più felice, quello ha una famiglia migliore, quello sì che è sereno, bei tempi quelli in cui passavo il Natale a casa, quando ero bambino era tutta un’altra cosa, blablabla. Per celebrare un’icona della felicità calpestiamo la felicità vera, che è sempre e soltanto la nostra capacità di stare con le nostre emozioni in questo momento, senza negarle, senza rinunciare ad alcuna di esse.

Il mio personale augurio è per un 2012 che permetta a tutti di smettere di inseguire un’ideale di Sé che soltanto noi vediamo, facendo sforzi infiniti per arrivare sempre più su, sempre più vicini a questo qualcosa che nemmeno sapremmo definire, perché non è un vero obiettivo ma l’illusoria visualizzazione di un’insoddisfazione cronica, che malignamente la nostra mente ci ripropone di continuo come ambizione. Da fuori, chi ci osserva, non capisce, non vede questa bolla sospesa sopra la nostra testa, che tanto ci ossessiona. Vede soltanto quello che facciamo. E di solito quello che facciamo è preoccuparci. Cioè non facciamo alcunchè. Partiamo da qui. Fai qualcosa. Un’azione anche molto piccola. Basta che sia soltanto per te e che ti piaccia davvero.

Un piccolo regalo per  tutti, nel frattempo: su http://lettura.perfortunavivereedifficile.it è a disposizione un'audio interattivo con la lettura del primo capitolo del mio ebook.

sabato 3 dicembre 2011

Liberi dalla trama dei pensieri

Cosa succede quando leggiamo un romanzo e ci facciamo prendere dalla sua trama? Divoriamo le pagine, avanziamo parola dopo parola trasportati dal ritmo che l’autore ha voluto dare ai nostri pensieri, viviamo per qualche minuto o qualche ora in uno stato modificato di coscienza, nel senso che ci infiliamo in una doppia condizione: assenza dalla vita reale e presenza amplificata nelle vicende raccontate dal libro.
E’ piacevole sprofondare tra le pagine di un romanzo, così come nella trama di un film. E’ un po’ come vivere un’esistenza vicaria per un breve lasso di tempo. Specie quando il racconto ci fa sognare trasportandoci in un altro luogo, in un altro modo di vivere, o in un esito diverso (e forse impossibile) di azioni quotidiane già vissute. Ma cosa succederebbe se per qualche ragione le pagine del libro ci causassero  soltanto emozioni negative e si ripetessero per tutta la lunghezza del volume? Probabilmente esprimeremmo un giudizio negativo e un po’ stizziti chiuderemmo il libro dopo una manciata di pagine.
Allora perché non riusciamo a farlo con i nostri pensieri?

Immagina di poter accendere un microregistratore digitale nel tuo cervello ogni mattina, appena ti svegli. E’ un apparecchio sofisticatissimo: riesce a memorizzare tutto quello che ti dice la tua voe interna. Arrivato a sera, il dispositivo si spegne. A quel punto immagina di  riascoltare tutto quello che ha detto la tua voce mentale nel corso della giornata. Ti ritieni probabilmente una persone intelligente, eppure scopriresti di aver detto a te stesso un’infinita di cose idiote, che a freddo non condivideresti. Con ogni probabilità riconosceresti discorsi ripetitivi, frasi che tornano in continuazione, domande e risposte sempre simili, una specie di stile ricorsivo del discorso interno. Riascoltando la tua voce mentale forse scopriresti quante discussioni inutili, quanti commenti superflui, quanti giudizi pleonastici, quanta paura, quante difese trovano posto tra i tuoi pensieri. Di solito non ce ne accorgiamo. Arriviamo a sera con una sensazione di stanchezza mentale, come se avessimo fatto chissà cosa, eppure se ripercorriamo a ritroso le azioni che abbiamo intrapreso davvero nel corso della giornata, scopriamo che non sono poi così tante. Ciò che ci stanca, ciò che ci taglia le gambe, è il nostro dialogo interno. La voce della paura che usiamo come fosse una voce della sicurezza per interpretare il mondo che ci circonda e le cose che accadono.

La prima buona notizia è che il mondo va avanti anche senza (o nonostante) le nostre faticose elucubrazioni, il che significa che quella voce è pressochè inutile. La seconda buona notizia è che se ci accorgiamo di avere quell’eterno discorso acceso, nella mente, possiamo decidere di ascoltarlo da fuori, come faremmo se esistesse il famoso registratore.

Ascoltare, anzi osservare il fatto che ci parliamo di continuo per riempire il vuoto che ci spaventa è il primo passo per far tacere quella voce. Osserviamo i pensieri che scorrono, ascoltiamo senza giudicare e senza entrare nel merito. Un po’ come se assistessimo a una scena facendo spallucce e dicendo “Embè?”. La voce interna, giorno dopo giorno, comincerà a non portarci più nella spirale della sua trama, smetterà di farci vivere con i suoi ritmi. Lentamente, gradualmente, si spegnerà. Lasciandoci un meraviglioso silenzio mentale, navigabile come un mare calmo e cristallino. Scopriremo che quel vuoto che tanto temevamo è la condizione ideale per far nascere l’azione. Se la realtà entra nella nostra mente così come è, si traduce in azione più facilmente perchè non si infila in una selva oscura di "ma, se, forse, però", in altre parole non si fa arrestare dalle interpretazioni e dai giudizi più di quanto fisiologicamente già accada visto che ogni persona è soggetto dei propri sensi e delle proprie percezioni.

Succederà che potremo continuare a sprofondare nella trama di un romanzo quando sceglieremo di leggere un bel libro e abbandonarci alle sue pagine. Allo stesso tempo però sapremo distinguere la realtà esterna da quella interna, facendoci sorprendere dalla continua diversità di ciò che accade fuori, se avremo imparato a non sprofondare nella trama automatica e ripetitiva dei nostri pensieri quotidiani. Il microregistratore, ogni sera, restituirà soltanto silenzio. E la nostra giornata conterrà meno fatica e più esperienze.

giovedì 17 novembre 2011

I veri maestri non insegnano una cosa sola.

A chiunque è certamente accaduto di conoscere persone molto esperte in una determinata materia. Sanno tutto, tuttissimo, di un metro cubo d’universo. Sono i migliori, nel loro settore. Conoscono perfettamente le leggi della fisica, o hanno sviscerato fino in fondo la Divina Commedia, o si sono votati per anni a una singola molecola, o si sono specializzati in un tipo di patologia, o hanno dedicato la propria esistenza a uno sport. Ecco, tutti questi sono profondi conoscitori di un angolo di mondo. Non maestri. O almeno non necessariamente. 

La prima cosa che manca agli esperti, per essere anche maestri è la volontà (ed eventualmente la capacità) di trasmettere il proprio sapere ad altri. Se sono in grado di farlo, diventano in genere buoni insegnanti. I maestri però sono ancora un’altra cosa. Un maestro è un essere umano che incontri per un motivo specifico e dal quale, per motivi aspecifici, non ti vorresti più allontanare. E’ qualcuno che ti trasmette un sapere diffuso, non necessariamente nozionistico, molto spesso esperienziale. E’ un modello omeostatico: tra ciò che ha dentro e ciò che lo circonda esiste un continuo scambio di contenuti e vissuti. Per questa ragione i veri maestri non insegnano una cosa sola.
Non sei tu a sceglierlo, inoltre. Quando ti avvicini a un maestro lo fai perché credi di aver individuato in lui un comune mortale che ti può dare informazioni su un argomento. Cioè cerchi un insegnante. Oppure non cerchi proprio un bel niente e passi un po’ di tempo al cospetto di questo sconosciuto, su cui magari ti formi anche qualche pre-giudizio. Poi accade l’alchimia. Mister X (o miss X) parla, entra in relazione con te, e il grado di condivisione è tale che il flusso di contenuti diventa inarrestabile e privo di barriere. Non è lui o lei a porsi come maestro, sei tu ad assegnargli spontaneamente – e spesso inconsapevolmente – quel titolo e quel ruolo, nella tua vita.
Ho conosciuto insegnanti di arti marziali che si fanno chiamare “maestro” per sentirsi importanti e colmare le proprie lacune, così come pittori e musicisti che si fregiano di quel titolo come fosse il classico “dottò” all’italiana, o ancora medici, che si considerano da soli “maestri” e camminano due o tre metri sopra il livello dei propri pazienti-clienti.  In verità chi è maestro per qualcuno spesso non lo sa, e se glielo dicono forse un po’ se ne vergogna o comunque non se ne cura perché la sua attenzione è aperta al mondo e non ristretta su un solo oggetto, fosse anche il proprio narcisismo.

Questo è il punto: la modalità attentiva dei veri maestri. Perché abbiamo l’impressione che le persone che accettiamo come guide della nostra esistenza (di parti o di fasi di essa) siano “illuminate”? Proprio per la tipologia di attenzione che applicano alla loro vita e ai rapporti che intrattengono con le altre persone. Mi piace sempre pensare all’attenzione come se fosse una torcia potentissima con cui ciascuno di noi è in grado di fare luce sul mondo. C’è chi ha un po’ le pile scariche: la sua luce si accende e si spegne a intermittenza, o emette un fascio fioco e scarsamente utile. C’è chi non riesce mai a tenere la propria luce puntata su un oggetto per il tempo necessario a vederlo nei dettagli: è il caso dei distratti e di chi ha scarsa concentrazione. Poi c’è chi illumina con altissima precisione un oggetto, come se avesse un laser, ma tutto intorno è buio: così fanno gli esperti di una materia, ma anche le persone ansiose, la cui attenzione è attratta irresistibilmente dall’argomento che è fonte di preoccupazione. Poi c’è chi monta sulla propria torcia un diffusore che permette di illuminare tutta la realtà e di non farsi sfuggire la visione d’insieme: il diffusore è la consapevolezza e il soggetto in questione è il maestro, o la persona illuminata.
Quando ti accosti a una persona dotata di questa apertura al reale lo capisci subito, perché la sua attenzione investe anche te. Ti senti importante, vivo, considerato. E immediatamente il tuo interesse per l’altra persona passa dal semplice piano del “cosa” (i contenuti) a quello del “come” (la considerazione del mondo e delle relazioni per ciò che sono, nel momento in cui sono).

Ci sono due notizie. Quella negativa è che i maestri si mimetizzano tra le persone comuni e quindi non si riconoscono da lontano per il colore della pelle, o perché hanno fondato una religione, o perché hanno un biglietto da visita particolare. La buona notizia è che chiunque può diventare maestro almeno di se stesso, applicandosi quotidianamente all’esperienza del reale, ampliando la propria attenzione, dedicandosi alla riscoperta di ciò che già esiste, ma che di norma viene vissuto come automatismo. Cosa stai facendo ora, per esempio, mentre leggi? E l’attenzione si allarga. E come sta il tuo corpo? E si allarga ancora di più. Quali pensieri scorrono nella tua mente? Ancora di più. Cosa c’è nella stanza intorno a te? L’attenzione può essere tanto ampia quanto numerosi sono i contenuti possibili della tua esperienza del mondo.

domenica 6 novembre 2011

Piove. Come nella nostra mente.

La grande e devastante pioggia di questi giorni è un buon modo per osservare, in atto e all’esterno, una rappresentazione iperbolica della piccola ma incessante pioggia quotidiana dei nostri pensieri nella mente. Goccia dopo goccia esondano torrenti, canali e fiumi; pensiero dopo pensiero, la nostra mente si riempie di rigagnoli che disperdono la nostra attenzione attirandola in trappole dolorose, sommergendo la coscienza e suggerendole ogni volta che la verità sta in una semplice percezione momentanea o in un’emozione passeggera.

E’ di grande conforto, sempre per rimanere all’interno della metafora meteorologica, un pensiero buddista, tratto dall’Ittivuttaka (“Così fu detto”, una delle scritture fondamentali del Buddismo Theravada): «Chiunque plachi i pensieri incessanti, come la pioggia fa con una nube di polvere, con la consapevolezza che deriva dal pensiero placato, raggiunge qui e ora la dimora della pace».

Il pensiero placato non è l’assenza di pensiero né il controllo ferreo dell’attività mentale ma l’accoglienza di ciò che compare sul palcoscenico della mente, nel momento in cui vi compare. Se piovono pensieri, osservare le gocce, una dopo l’altra, guardandone le caratteristiche e lasciandole poi cadere giù senza trattenerle o incanalarle, è come guardare tutta la scena al rallentatore e ad altissima definizione. Si scopre che tra una goccia e l’altra c’è un considerevole intervallo di tempo, e che le gocce non sono disposte tutte sullo stesso piano. Questa consapevolezza della singola goccia, del singolo pensiero, si trasforma gradualmente in una strategia di diradamento della pioggia. Forse potremo scoprire che quella che ci sembrava una tempesta tropicale è ora una pioviggine leggera. Forse non è così difficile scoprire che l’effetto pioggia deriva dall’ansia che ci impedisce di considerare una goccia dopo l’altra, in modo tranquillo, e ci mette di fronte a un muro d’acqua che non riusciamo a gestire per il suo enorme impatto. Goccia dopo goccia, momento dopo momento, la percezione cambia, il tempo si dilata, gli spazi vengono invasi da serenità e presenza.

«Non ci riesco, quando mi viene l’ansia, non ci riesco». Certo, se non diluviasse l’esercizio risulterebbe elementare. Invece in condizioni di stress (e di maggiore utilità), il primo esercizio è sempre scegliere di fare l’esercizio. Optare per la singola goccia quando si è nella tempesta è una decisione importante e va nella direzione del cambiamento.

lunedì 31 ottobre 2011

La zucca illuminata e la stagione del buio


Tra il 31 ottobre e il 1 novembre molti rituali socialmente (variamente) condivisi ci preparano al buio. L’ora è cambiata da poco: il pomeriggio perde luce. I cristiani pensano ai morti. I neopagani celebrano la fine dell’estate con l’ultima festa del raccolto, considerano questa giornata come un capodanno e attendono l’inverno. Altri culti magici individuano in questa data l’addormentamento della giovane dea e il passaggio al dio vecchio e stanco, e praticano un sabbah. Per tantissimi è una specie di carnevale nero, un modo per folleggiare con ritmi estivi, prima di spostarsi sui ritmi caldi e tradizionali del Natale e da lì attraversare il gelo agognando il ritorno della primavera. Alcuni praticanti wiccan suggeriscono in questa data l’uso di frutti (mele e nocciole), colori (nero e arancio) e di una serie di incantesimi  per sbarazzarci delle nostre abitudini indesiderate o dei tratti del nostro carattere che vogliamo modificare.

Antropologicamente parlando, tutti questi intenti sono lodevoli: cercano di esorcizzare la paura del buio e dell’ignoto facendo emergere una nuova consapevolezza del presente. A un laico però non occorre alcuna ritualizzazione per prendere coscienza del momento in cui è. Non è un esercizio stregonesco ma attentivo quello che serve. Il cambiamento della luce e dei ritmi personali corrisponde spesso a una mutazione dell’umore e dei pensieri. 

Fermati per qualche minuto e cerca nella tua mente la voce che dice le solite cose. Porta l’attenzione sul “te” che ripete il disco rotto all’infinito. Il tuo momento di cambiamento consapevole può essere già questo: riconosci i ritornelli che ti racconti e osservali da fuori. Come se massaggiassi una contrattura scaldandola con i polpastrelli, vedrai a poco a poco sciogliersi sotto il calore della tua attenzione i refrain che non ti abbandonano. Ascoltare la tua voce da fuori è un ottimo modo per accogliere la stagione fredda liberandoti delle (e dalle) solite impressioni.

Non ce ne vogliano i fans delle zucche illuminate, ma l’unica zucca in cerca di illuminazione è quella che portiamo attaccata al collo.

domenica 23 ottobre 2011

Chi si ascolta è meno influenzabile: il corpo inganna il cervello

Traduco, traggo e interpreto da un articolo appena uscito sul New Scientist a firma David Robson. Si parla del rapporto tra mente e corpo. Perché tutti tendiamo a interpretare la mente come se fosse una cosa a parte, fuori dal corpo. Invece è sempre più chiaro che tutto il corpo nella sua interezza è coinvolto nel processo del pensiero. Senza input che arrivano dal corpo, la mente non sarebbe capace di generare un senso del Sè o di processare le emozioni in modo efficace.
Le sensazioni fisiologiche come quelle che derivano dal tuo battito cardiaco e dalla tua vescica, influenzano molte caratteristiche personali, come la tendenza a uniformarti alla maggioranza, la forza di volontà, l’attitudine a essere indirizzato dalle tue intuizioni o governato dal pensiero razionale. Negli ultimi anni le scoperte riguardanti le connessioni mente-corpo hanno sovrastato l'antica visione del corpo interpretato come un veicolo passivo guidato dalla mente. Esiste in realtà qualcosa di più di una collaborazione tra questi due aspetti e le esperienze corporee giocano un ruolo attivo nella vita mentale.

Arthur Glenberg, dell’Arizona State University, dice chiaramente che «la mente non può agire indipendentemente dal corpo». In altre parole, sintonizzati sui segnali fisici e potrai imparare ad aumentare creatività, memoria e autocontrollo.

Al centro del dibattito moderno c'era strabiliante sensazione dell’embodiment, l’incorporazione, la sensazione che siamo i proprietari della carne e del sangue che ci compongono dalla punta dei piedi fino alla sommità della testa e che questi stessi elementi costituiscono il nostro senso del Sé.

Sin dalla fine degli anni 90 alcuni studi, attraverso illusioni sperimentali ormai celebri, hanno provato che la nostra mente è in grado di integrare le informazioni che riceve da diversi sensi incorporandole in un unico senso del Sé. E’ il caso della famosa mano di gomma: mettendo un arto finto davanti agli occhi del soggetto sperimentale e nascondendogli quello vero, ma applicando a entrambi la stessa stimolazione fisica, in pochissimi minuti la mente considera come parte del corpo la mano di gomma invece dell'altra, tanto che a occhi chiusi e su richiesta, il soggetto tocca la mano finta invece di quella vera scambiandola per vera.

Studi e ricerche successive hanno chiarito che la corteccia insulare del nostro cervello processa similmente anche i segnali corporei interni, dal battito del cuore al brontolio dello stomaco. Esistono notevoli differenze interpersonali nella capacità di riconoscere e percepire questo genere di segnali: è quella che si chiama interocezione. Secondo un team dell'Università di Londra, soltanto un quarto delle persone è in grado di contare i propri battiti cardiaci con accuratezza superiore all'80% senza misurare convenzionalmente le pulsazioni, e un altro quarto ne ha una consapevolezza che si aggira intorno al 50%. Di norma chi ha una forte percezione di se stesso dall'interno, non si sofferma molto sulle informazioni che provengono dall'esterno come quelle derivanti dalla vista o dal tatto.


Di recente a Stoccolma l'esperimento della mano di gomma è stato ripetuto con bambole intere, in modo da dare la sensazione ai soggetti sperimentali di avere un corpo delle dimensioni di una Barbie o giù di lì. Questo significa, una volta di più, che la nostra consapevolezza corporea dipende dalla nostra interpretazione dell'informazione esterna.


Un altro singolare esperimento che va nella stessa direzione ha abbinato un tocco sul viso del soggetto sperimentale all'immagine di un tocco sul viso di una figura in uno schermo: ancora una volta, in pochissimo tempo, il soggetto ha cominciato a percepirsi come se fosse di fronte a uno specchio. Questo significa anche che l'influenza del corpo può valicare i confini della percezione sensoriale nel determinare come ci relazioniamo con le altre persone. Per esempio questo è una delle prove più interessanti del perché entriamo subito in contatto con le persone che sottilmente copiano le nostre espressioni facciali e il nostro linguaggio corporeo: vedendoci riflessi in qualcun altro che riconosciamo come una specie di nostra copia o proiezione, siamo portati ad agire nei suoi confronti come se stessimo vedendo noi stessi allo specchio.


Questa idea è stata confortata da un ulteriore esperimento effettuato all'Università di Trento da Maria Paola Paladino. Ripetendo l'illusione del volto nello specchio, questo studio mirava a ottenere una autovalutazione della personalità dei soggetti sottoposti al test e una valutazione, da parte loro, della personalità della figura nello schermo di fronte: i risultati mostrano che i primi si considerano nettamente simili ai secondi.


Una delle cose più interessanti da notare è che le persone che sono naturalmente più attente e ricettive nei confronti dei propri segnali interni sono anche quelle meno tratte in inganno dalle illusioni corporee, meno soggette alla manipolazione sociale e anche meno empatiche. Come la percezione del nostro battito cardiaco sia connessa alla nostra reazione inconscia nei confronti delle altre persone è ancora piuttosto misterioso.


L'esperienza emotiva è forse l'area meglio studiata di tutta la cosiddetta embodied cognition. Per esempio di solito credi di sorridere perché sei felice ma nei fatti sono i tuoi sentimenti lieti a derivare dalla sensazione fisica di sorriso. Allo stesso modo chi si fa trattare le rughe della fronte con il botox impiega poi più tempo a interpretare frasi e situazioni tristi o irritanti proprio perché non gode più della mediazione dell'espressione. Inoltre emozioni e sensazioni corporee sono legate a doppio filo anche sotto il punto di vista termico: tendiamo a sentire più freddo quando ci sentiamo soli, mentre associamo anche a livello epidermico una sensazione di calore con l'inclusione sociale e un contesto amichevole.

In sintesi le persone che sono maggiormente sintonizzate con il proprio corpo hanno una maggiore consapevolezza delle proprie emozioni.

E che dire dell'apprendimento? I bambini piccoli imparano molto più rapidamente, e comprendono di più, se sono incoraggiati a mettere in scena quello che stanno leggendo. La memoria delle parole insomma sembra installarsi sull'esperienza sensoriale.


Chiunque può utilizzare tatticamente il proprio corpo per migliorare la propria vita. Dal mondo accademico arrivano ancora alcuni esempi interessanti. Di fronte a uno stallo ideativo, distendere il braccio sinistro e piegare quello destro in modo da assumere una posizione pensosa aumenta l’indice di creatività. Nella stessa condizione, muovere gli occhi dall'estrema sinistra all'estrema destra del proprio campo visivo aiuta a pensare in modo laterale e modificare il punto di vista. Per rendere più flessibile la capacità decisionale, invece, può essere utile effettuare scelte mentre si trattiene la pipì, si cammina all'indietro o si tendono i muscoli del corpo per poi rilassarli…

sabato 22 ottobre 2011

La consapevolezza fa bene al cuore: uno studio sul Tai Chi


Il Tai Chi Chuan è un’arte marziale interna cinese. “Interna” è il termine con cui si indica la destinazione della pratica, che mira a fortificare e utilizzare l’energia interna, come per esempio il Qi Gong, adifferenza delle arti “esterne” cioè esplosive, come i vari stili di Kung Fu. Le micidiali potenzialità marziali del Tai Chi sono di solito poco insegnate dai maestri occidentali di quest’arte,  che oggi noi conosciamo come forma posturale dinamica e lenta, una sorta di danza al rallentatore o, se preferite, una meditazione in movimento.  In ogni caso vale l’effetto di questa pratica: il controllo della mente sul corpo attraverso un movimento armonioso e fluido che ha effetti notoriamente benefici sul sistema circolatorio, su quello nervoso, oltre che sulle articolazioni e come contrasto attivo dello stress.
Negli USA, al Beth Israel DeaconessMedical Centre (Boston), un team di specialisti ha testato gli effetti del Tai Chi su un centinaio di pazienti adulti affetti da scompensi cardiaci. I movimenti circolari e bilanciati dell’arte cinese, secondo i risultati dello studio, risultano essere una valida alternativa agli esercizi fisici convenzionali a impatto basso e medio. Secondo Gloria Yeh, una delle sperimentatrici, “il Tai Chi è una pratica sicura, migliora la qualità della vita, il senso di autoefficacia percepita, il tono dell’umore e la gestione del dolore e delle emozioni negative, grazie allo spostamento del peso, alla ricerca dell’equilibrio fisico e all’autoconsapevolezza”.

sabato 15 ottobre 2011

Dolore cronico: nuovi farmaci e mindfulness.

Il dolore cronico non oncologico affligge il 55,7% delle persone tra i 45 e i 65 anni, nel 55% dei casi a causa di lombalgie croniche e nel 45% quale dolore cronico delle articolazioni. In quasi il 45% dei casi dura da oltre tre anni e nel 20,7% da uno-tre anni.
Come viene trattato? Con antinfiammatori nel 30,6% circa dei casi, con paracetamolo nel 22,2% e con oppioidi deboli nel 14,3%. Ma il 45,5% dei pazienti  si dichiara insoddisfatto dalla cura. Non funziona tanto, dicono.  Questi aspetti, riportati dal portale Doloredoc nel 2011, emergono da un’indagine tra 192 pazienti, condotta parallelamente a una indagine tra 325 medici.

E mentre più di trenta città italiane il 16 ottobre aderiscono alla prima Giornata nazionale contro il dolore, la stampa si concentra sulla comunicazione dell’arrivo di un nuovo farmaco, il tapentadolo, che promette maggiore efficacia analgesica e migliore tollerabilità ed è dedicato proprio a chi è afflitto da dolore cronico.

Sarebbe utile e intellettualmente corretto ricordare, insegnare o comunicare l’efficacia delle pratiche meditative, provata in Oriente da più di due millenni di risultati empirici e in Occidente da tre decenni di ricerche scientifiche. Un percorso di training alla mindfulness e una pratica quotidiana pur breve portano a risultati eccellenti e stabili. Per quanto riguarda il meccanismo degli effetti analgesici, diversi studi  (tra cui Orme-Johnson et al., Neuroreport, 21,1359-63,2006).hanno dimostrato su volontari sani in meditazione una riduzione del 40-50% della risposta evocata dall’attivazione periferica delle vie dolorifiche nel cervello, a livello del talamo e della corteccia prefrontale. Inoltre è ancora più comprovato l’effetto della mindfulness sul controllo delle componenti psicologiche che circondano il dolore che, come è noto, è un fenomeno percettivo complesso nell’ambito del quale il pensiero ricorsivo, l’ansia e la paura generano un effetto aggravante e amplificante.

Le ricerche si sono moltiplicate esponenzialmente negli ultimi dieci anni, i più grandi contributi teorici, divulgativi e metodologici attuali arrivano da medici, come J. Kabat-Zinn e D.J. Siegel. Prima di trangugiare l’ennesima pillola, pensaci.

I segnali del corpo

Suggerisco l'ebook I segnali del corpo di Cecilia Mariotto (Bruno editore)

Ecco il sommario:


COMPRENDERE E CAPIRE COS'E' LA PSICOSOMATICA
  • Come viene considerato l'uomo dalla cultura occidentale e da quella orientale.
  • Come riuscire a integrare in modo funzionale tutto ciò che ti è utile adattandolo al tuo modo di essere.
  • Come puoi riuscire ad ottenere la tua realizzazione personale attraverso le tue risorse.
  • In che modo il tuo corpo diventa il mezzo per ottenere il benessere.
  • Come trasformare l'energia attraverso il tuo corpo e trovare gli strumenti per conoscerla.
CONOSCERE GLI ORGANI, LE FUNZIONI E LE EMOZIONI
  • Come percepire e interpretare i segnali che il tuo corpo ti invia quotidianamente.
  • Come scoprire gli effetti benefici delle tre energie che sono in te: Ki, Jing e Shen.
  • Imparare e conoscere le energie associate a ciascuno dei tuoi organi.
  • In che modo gli elementi sono associati alle energie dei diversi organi e come possono aiutarti.
CONOSCERE GLI ORGANI, LE FUNZIONI E LE RELAZIONI
  • Come fare per riuscire a distinguere in base ai segnali del tuo corpo l'energia dei diversi organi.
  • Come capire il livello e lo stato della tua energia attraverso i segnali del tuo corpo.
  • Come puoi migliorare la tua capacità di espressione entrando in contatto con l'energia delle emozioni.
  • Come puoi vincere la paura e situazioni di blocco attraverso l'energia dei reni.
  • Quale tipo di energia puoi sfruttare per iniziare ad agire e reagire alle situazioni.
QUAL E' LA VIA DA PERCORRERE PER STARE MEGLIO
  • In che modo si possono manifestare sul tuo corpo le difficoltà di espressione dei sentimenti.
  • Come la tua pelle ti può indicare una difficoltà interna legata a una carenza di energie.
  • In che modo i segnali che il tuo corpo ti invia ti devono far riflettere sul modo di porti all'esterno.
  • Come fare sempre un uso costruttivo delle tecniche per ascoltare e capire il tuo corpo.
  • Come associare alcuni disturbi specifici a comportamenti che potrebbero esserne la causa.
COME INFLUISCONO I MERIDIANI E IL FLUSSO DI ENERGIA
  • L'importanza di trovare un momento della giornata per prenderti cura di te stesso.
  • Come riuscire ad ascoltare e capire l'energia del meridiano per stare bene.
  • Quali esercizi fisici possono essere di grande aiuto per individuare le tensioni.

  • Come puoi percepire lo stato della tua energia attraverso le tensioni del tuo corpo.
  • Come puoi entrare in contatto con le tue energie e riattivarle.
GLI ELEMENTI DELLE CINQUE TRASFORMAZIONI
  • Come interpretare le energie legate agli elementi acqua, terra, metallo, legno e fuoco.
  • In che modo puoi valutare la tua esperienza imparando a conoscerti.
  • Come puoi raggiungere la tua soddisfazione e realizzazione attraverso l'analisi del tuo corpo.
  • Come puoi raggiungere i tuoi obiettivi di benessere e serenità.
COME RAGGIUNGERE REALIZZAZIONE E SUCCESSO
  • Come metterti in condizione di poter scoprire il tuo percorso di crescita.
  • Perché le tecniche Shiatsu possono aiutarti a capire le dinamiche interne del tuo corpo.
  • L'importanza di poter condividere le tue idee con persone che abbiano i tuoi stessi interessi.


Per scaricare l'ebook clicca qui.





venerdì 7 ottobre 2011

Seminario di consapevolezza online per i lettori dell'ebook.

Martedì 11 ottobre alle 22 partecipa gratuitamente al seminario di consapevolezza on line riservato ai lettori di "Per fortuna vivere è difficile". Invia prima di quella data a info@perfortunavivereedifficile.it il numero d'ordine che hai ricevuto comprando l'ebook (lo trovi nell'email dell'ordine o sul sito dell'editore) e riceverai il link per la registrazione e l'accesso al workshop.

mercoledì 5 ottobre 2011

"Per fortuna vivere è difficile": guarda o scarica il webinar.

Cliccando su questo link potrai guardare in differita la presentazione interattiva dell'ebook o effettuarne il download. La sessione live è andata on line martedì 4 ottobre 2011 dalle 22 alle 23.30.

Se hai problemi con Flash (per esempio da Ipad o IPhone) o semplicemente preferisci il formato video, puoi seguire il webinar anche su Yotube cliccando qui.

A tutti coloro i quali invieranno il numero d'ordine dell'ebook via email all'indirizzo info@perfortunavivereedifficile.it sarà regalato il link d'accesso al seminario di consapevolezza che condurrò sempre via web martedì 11 alle 22.

lunedì 3 ottobre 2011

Mindfulness, come gestire il pensiero (negativo).

E' il titolo dell'articolo di Vanessa Perilli su Marieclaire.it: contiene  un'intervista-approfondimento sull'ebook "Per fortuna vivere è difficile".

Effetto placebo: la mente produce effetti simili ai farmaci assunti.

Il cervello ricorda i farmaci assunti e ne riproduce gli effetti in seguito, quando assume un placebo.
La scoperta è di un team di ricercatori italiani guidati da Fabrizio Benedetti dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze. Gli esiti dello studio sono stati pubblicati su Nature e riguardano i farmaci  antidolorifici ma in senso lato gettano nuova luce sull’interazione mente-corpo.
In parole povere la reazione mentale al contesti di somministrazione di un placebo attiverebbe meccanismi del tutto simili a quelli provocati dai principi attivi assunti per placare il dolore. Il medico che ti dice: “Tra poco starà meglio” dandoti una compressa neutra, agisce insomma come la compressa efficace.  Esiste cioè una somiglianza tra effetti di natura farmacodinamica ed effetti psicosociali.
Nello specifico, quali effetti andrebbe a generare la suggestione operata dalle parole del medico? Il paziente che crede nella cura e ha fiducia nel medico attiva nel suo corpo endorfine o endocannabinoidi, cioè oppiacei o succedanei della cannabis, a seconda delle molecole assunte realmente prima del placebo. Pensare che starai meglio, insomma, ti farà stare meglio esattamente come se avessi preso un farmaco di cui hai già provato l’efficacia.
Prossimo passo: capire quanto dura questa “memoria” psicochimica, testata al momento in una finestra temporale di pochi giorni.
Le prospettive non sono niente male. Si va da una revisione delle pratiche sperimentali (il confronto con il placebo dev’essere a questo punto rivisto) a interessanti ipotesi di suggestione pilotata clinicamente.

martedì 27 settembre 2011

Separarsi più facilmente, grazie all'autocompassione.


E’ una questione di parole. Autocompassione non è un sinonimo di autoindulgenza né di autocommiserazione. Autocompatirsi, avere self-compassion, significa etimologicamente “soffrire con se stessi”, essere emotivamente accanto alla propria persona. In sintonia. In accettazione.
Tempo fa una ricerca dell’Università del Texas indicava l’accoglienza delle proprie imperfezioni, (autocompassione, appunto), come prima via verso il benessere.

Oggi arriva un nuovo studio dall’University of Arizona, e riguarda il divorzio. Chiunque si accinga ad attraversare il penoso iter della separazione, da qualunque parte stia e in qualunque modo stia vivendo il suo bivio, si trova comunque al centro di un periodo di profonda
ristrutturazione: ruolo, rappresentazioni mentali, distribuzione del tempo, luoghi, modi epersone sono destinati a cambiare bruscamente.  Tutto questo, naturalmente, è fonte di stress.
 Chi se la cava meglio? Secondo i ricercatori, per una volta ad essere avvantaggiate non sono le persone con maggiori autostima , ottimismo e facilità relazionale, ma chi ha una buona attitudine all’autocompassione. Cioè chi sta con se stesso e con il proprio dolore senza negarlo, per il tempo sufficiente a vederlo scorrere via. Lo studio, effettuato su 107 persone, ha mostrato che questa caratteristica consente ai soggetti che ne sono dotati - o che la allenano con pratiche di consapevolezza - di superare l’impatto emotivo del periodo stressante in pochi mesi e con maggiore leggerezza.

Le donne ci riescono meglio, ricordano gli autori della ricerca. Ma gli uomini non possono cambiare sesso per questa ragione. Perciò conviene lavorare, un pochino ogni giorno, sulla propria capacità di autoaccogliersi, cominciando a sorridere mentalmente ai propri difetti. Un minuto al giorno, in tempo di pace, vi aiuterà a non essere impreparati in caso di guerra.