martedì 27 settembre 2011

Separarsi più facilmente, grazie all'autocompassione.


E’ una questione di parole. Autocompassione non è un sinonimo di autoindulgenza né di autocommiserazione. Autocompatirsi, avere self-compassion, significa etimologicamente “soffrire con se stessi”, essere emotivamente accanto alla propria persona. In sintonia. In accettazione.
Tempo fa una ricerca dell’Università del Texas indicava l’accoglienza delle proprie imperfezioni, (autocompassione, appunto), come prima via verso il benessere.

Oggi arriva un nuovo studio dall’University of Arizona, e riguarda il divorzio. Chiunque si accinga ad attraversare il penoso iter della separazione, da qualunque parte stia e in qualunque modo stia vivendo il suo bivio, si trova comunque al centro di un periodo di profonda
ristrutturazione: ruolo, rappresentazioni mentali, distribuzione del tempo, luoghi, modi epersone sono destinati a cambiare bruscamente.  Tutto questo, naturalmente, è fonte di stress.
 Chi se la cava meglio? Secondo i ricercatori, per una volta ad essere avvantaggiate non sono le persone con maggiori autostima , ottimismo e facilità relazionale, ma chi ha una buona attitudine all’autocompassione. Cioè chi sta con se stesso e con il proprio dolore senza negarlo, per il tempo sufficiente a vederlo scorrere via. Lo studio, effettuato su 107 persone, ha mostrato che questa caratteristica consente ai soggetti che ne sono dotati - o che la allenano con pratiche di consapevolezza - di superare l’impatto emotivo del periodo stressante in pochi mesi e con maggiore leggerezza.

Le donne ci riescono meglio, ricordano gli autori della ricerca. Ma gli uomini non possono cambiare sesso per questa ragione. Perciò conviene lavorare, un pochino ogni giorno, sulla propria capacità di autoaccogliersi, cominciando a sorridere mentalmente ai propri difetti. Un minuto al giorno, in tempo di pace, vi aiuterà a non essere impreparati in caso di guerra.

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