martedì 20 settembre 2011

60 secondi di dolore e ci si sente emarginati

Rompersi una gamba o subire un tradimento: per il nostro cervello questi due eventi, e altri analoghi, sono più o meno la stessa cosa. Il dolore fisico e quello sociale condividono alcuni circuiti neurali. A partire da questa considerazione, già nota, il ricercatore italiano Paolo Riva, dell’Università di Milano Bicocca, ha scoperto che basta un minuto di uno qualunque tra i due tipi di dolore, fisico o sociale, per provare la medesima sensazione di esclusione e solitudine.

 Per dimostrarlo, il team di Riva ha effettuato uno studio la cui fase sperimentale si è svolta negli Stati Uniti, presso i laboratori della Purdue University, nello stato dell’Indiana, e ha coinvolto un campione complessivo di 215 fra laureandi e studenti dello stesso ateneo, con un’età media intorno ai vent’anni. 

Il primo studio ha coinvolto 100 persone suddivise in tre gruppi: i membri del primo avevano il compito di rievocare un dolore sociale, quelli del secondo un dolore fisico, il terzo gruppo, di controllo, doveva solo ripensare a una routine giornaliera. Il secondo esperimento ha suddiviso i restanti 100 individui in due gruppi casualmente assegnati a un dolore sociale o fisico. Quello sociale è stato indotto attraverso l’esclusione da un videogame interattivo; quello fisico con l’esposizioen prolungata di una mano all’acqua fredda. Tutti i partecipanti, alla fine, hanno compilato un’autovalutazione psicologica strutturata.

Il risultato di entrambi gli esperimenti concorda nel mostrare che  sia l’induzione di dolore sociale sia l’induzione di dolore fisico riducono autostima, controllo, senso di appartenenza e percezione di significatività dell’esistenza e incrementano l’intensità delle emozioni negative e delle risposte antisociali. In particolare il secondo esperimento ha mostrato anche l’attitudine di entrambi i dolori a indurre i partecipanti a sentirsi psicologicamente esclusi e ignorati.

Cosa vuol dire? Quando qualcuno ingigantisce un dolore, spesso lo si accusa di essere un vittimista o di soffrire di stati depressivi. Invece è possibile che il dolore stesso induca emozioni negative talmente forti da squilibrare il tono dell’umore. Si crea insomma un circolo vizioso: dolore ed emozioni si infilano nel circuito della percezione interpretativa e quindi si alimentano a vicenda. 

Come interrompere questo loop? Quando non è possibile agire nella realtà interrompendo il dolore fisico o sociale, è comunque più semplice e rapido intervenire all’interno del proprio flusso di pensieri per cambiare lo stato emotivo presente, disinnescando lo schema dolore-emozione-dolore. Si può fare almeno in due modi. 

Il primo è manipolativo e richiede la capacità di visualizzare il proprio dolore contemporaneamente a livello sensoriale nella parte del corpo in cui abita (se il dolore è sociale, occorre fare riferimento alle sensazioni indirette, come il bruciore di stomaco, la nausea, il respiro corto, il mal di testa o altro) e a livello immaginativo associandolo all’immagine che genera automaticamente, e al circuito chiuso di pensieri negativi cui si lega. E’ possibile quindi cambiare le caratteristiche del quadretto mentale, depotenziandolo, sfocandolo, rendendolo distante, lento,in bianco e nero, a basso volume, e riportando sulla parte del corpo coinvolta le stesse sensazioni di affievolimento progressivo. 

Il secondo metodo è basato sull’accoglienza: consiste nell’osservare senza giudizio e senza pre-occupazione le condizioni complessive nel momento presente. Cosa sento, penso, provo ora, in questo momento. E poi in questo. E in questo. Senza affezionarsi negativamente a uno stato specifico, senza trattenerlo. Osservare le cose come stanno insegna a osservare come mutano in pochi minuti e quindi a non confondere ciò che si prova in un determinato momento con la realtà assoluta. 

Si tratta di pratiche, non di nozioni: funzionano se si fanno, non basta leggerle.

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