Il cervello ricorda i farmaci assunti e ne riproduce gli effetti in seguito, quando assume un placebo.
La scoperta è di un team di ricercatori italiani guidati da Fabrizio Benedetti dell’Istituto Nazionale di Neuroscienze. Gli esiti dello studio sono stati pubblicati su Nature e riguardano i farmaci antidolorifici ma in senso lato gettano nuova luce sull’interazione mente-corpo.
In parole povere la reazione mentale al contesti di somministrazione di un placebo attiverebbe meccanismi del tutto simili a quelli provocati dai principi attivi assunti per placare il dolore. Il medico che ti dice: “Tra poco starà meglio” dandoti una compressa neutra, agisce insomma come la compressa efficace. Esiste cioè una somiglianza tra effetti di natura farmacodinamica ed effetti psicosociali.
Nello specifico, quali effetti andrebbe a generare la suggestione operata dalle parole del medico? Il paziente che crede nella cura e ha fiducia nel medico attiva nel suo corpo endorfine o endocannabinoidi, cioè oppiacei o succedanei della cannabis, a seconda delle molecole assunte realmente prima del placebo. Pensare che starai meglio, insomma, ti farà stare meglio esattamente come se avessi preso un farmaco di cui hai già provato l’efficacia.
Prossimo passo: capire quanto dura questa “memoria” psicochimica, testata al momento in una finestra temporale di pochi giorni.
Le prospettive non sono niente male. Si va da una revisione delle pratiche sperimentali (il confronto con il placebo dev’essere a questo punto rivisto) a interessanti ipotesi di suggestione pilotata clinicamente.
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